IL CANTO DELLA PITTURA
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IL CANTO DELLA PITTURA

di Lorenzo Canova

06.3.2017

Un’immersione in un mare di luce, un viaggio attraverso una fioritura di colori, una discesa nel fermento di una materia cromatica e nella sua energica libertà: l’opera di Maria Rita Vita si colloca nella grande tradizione della pittura gestuale e nella linea che nasce direttamente dalle fonti sorgive dell’inconscio, seguendo un percorso che dal Surrealismo raggiunge l’Action Painting statunitense e una parte significativa dell’Informale europeo.

Maria Rita Vita,tuttavia, si serve raramente della tavolozza drammatica, dominata dai neri, dai rossi e dai grigi e dal senso di smarrimento esistenziale della generazione di artisti attivi nell’immediato secondo dopoguerra, ma sembra avere modulato la sua pittura su un registro diverso, in dialogo con il versante più luminoso dell’Informale naturalistico, in una deliberata rivisitazione di una storia dello studio del colore e della luce che trova il suo momento iniziale nella pittura impressionista.

Uno dei riferimenti scelti da Maria Rita Vita sembra infatti la pittura di Claude Monet, in particolare il suo splendido ciclo delle Ninfee, in un flusso liquido di colori che si pone in confronto diretto con la splendida vibrazione lirica del maestro impressionista in cui la forma si annulla per divenire sentimento panico di una natura non più contemplata, ma penetrata direttamente nel cuore della sua essenza.

Non a caso, le opere di Maria Rita Vita appaiono dominate dal sentimento di nostalgia per la primavera, per la sua rinascita e per il rinnovato calore della sua luce portata a una frequenza più alta, a un’elevazione quasi mistica della propria estensione che si riflette nel fervido intreccio di pennellate e di gocciolature, in un dripping tessuto come un intarsio cromatico che unisce ragione ed emozione, regola e sentimento, trovando il metro bilanciato di un’armonia fondata non di rado sulla composizione ritmata dei contrari.

I quadri dell’artista compongono quindi dei paesaggi astratti e immaginari, delle metafore della gioia dell’occhio in rapporto profondo con la natura e con la sua bellezza, con la densità tattile dello sguardo che incontra le cose attraverso la guida percettiva di una pittura vista come uno strumento di interpretazione e di ricostruzione del mondo.

La pittrice dosa pertanto con efficacia il suo metodo pittorico per dare vita a uno stile allo stesso tempo rapido e meditato, a un sistema compositivo dove la forza del colore, l’energia delle pennellate, delle gocce e degli ispessimenti della materia viene bilanciata e resa ancora più vivida da una grazia sottile e impalpabile, composta da un ordito leggero e severo di connessioni e concatenazioni del segno.

Maria Rita Vita traccia allora degli itinerari visivi che vanno dalla dimensione microscopica delle cellule a quella smisurata degli astri e del cosmo, si cala negli spazi oscuri del profondo e scopre gemme astrali nate negli abissi di un universo ignoto.

In questo modo, l’artista torna alle origini della pittura astratta, al rapporto di uno dei suoi padri fondatori, Wassily Kandinsky, con la musica, al rapporto sincronico e sinestetico tra note e colori, in uno spazio cromatico che passa dall’incommensurabile perfezione dell’armonia celeste al suono impercettibile delle piccole cose, dal canto pericoloso e mortale delle sirene a quello bianco di angeli la cui presenza sembra essere allusa nel candore assoluta di una stesura pittorica che si accende di bagliori d’oro.

Maria Rita Vita innalza così la sua pittura come un uccello rapace che percorre cieli infuocati, la trasforma nella sostanza fangosa e vitale del limo del letto di un fiume, nel lascito fecondo e umido di una materia che feconda la terra, la rende immateriale come il ricordo di un profumo che fiorisce di azzurri e di violetti e la fa tornare ricca i materia pulsante e stratificata nell’accumulo di frammenti di memoria, addensata nello spessore tangibile delle ore che trascorrono rapide e che si fondono come viluppi di ricordi, grovigli di attimi intrecciati nella ragnatela di un tempo evocato e redento dalla mano che compone la sua pittura sulla tela.