L'IMPORTANZA DEL CASO di Federica Flore, San Remo 27.05.2017
22734
post-template-default,single,single-post,postid-22734,single-format-standard,cookies-not-set,ajax_fade,page_not_loaded,,select-theme-ver-3.6.1, vertical_menu_transparency vertical_menu_transparency_on,wpb-js-composer js-comp-ver-5.1.1,vc_responsive

L’IMPORTANZA DEL CASO

di Federica Flore

San Remo 27.05.2017

Ogni rivoluzione ha i suoi presupposti storici e una sua necessità interiore:
ma si considera sempre e solo questa la spinta che porta un individuo a realizzare elementi  creativi? Il percorso delle opere di Maria Rita Vita è certamente basato anche sull’influsso del caso nel creare una struttura.
Caso e storia  qui sembrano infatti incidere sull’emersione di un’inconfondibile dinamica del colore, pienamente riscontrabile in ogni tela dell’artista.
In un secolo che ormai ha abbandonato tecniche classiche  e si è allontananto dalla natura come elemento di ispirazione, la pittura rifiorisce come una nuova partenza educativa al ritmo, alla musicalità dei paesaggi che circondano Maria Rita e che, probabilmente, dovrebbero accerchiare ogni persona.
Nel connotare questi punti di vista, per quanto siano interiorizzati da una personalità inebriante, è chiaro l’influsso del mare. Il colore del mare, le sfumature del mare, il rumore del mare, ma soprattutto la luce, il riverbero e il bagliore.
Con questi criteri di lettura, gli oli e gli acrilici della pittrice toscana accecano l’osservatore intento a scorgere quel mondo di punti e linee alla base delle avanguardie storiche europee di primo Novecento.
Qui il riferimento non può diventare banalmente l’immediato dripping di Jackson Pollock; perchè quel movimento di una mano, che fa scivolare il pennello intriso di colore tra le proprie dita, seguendo rotte ancora inesperite, è la scusante fenomenologica di chi traccia una mappa del proprio mondo, ancora da scoprire.
E’ un viaggio all’interno della materia pittorica. E’ così che Maria Rita Vita instaura un rapporto alchemico con la natura, o meglio con le circostanze naturali, e con il proprio istinto, poi con la propria necessità di esprimersi come aritsta: una volontà questa che comunica fin dalla sua biografia. E’ l’altro lato delle cose, è l’altra lettura della pittura, è quel surreale senso di multiformità tipico di chi, con gran entusiasmo, si affaccia al mondo e, curiosamente, ne è affascinato.
L’attrazione qui sembra quella di una continua risposta alla domanda fanciullesca “perchè”? La ricerca artistica produce, dunque, un accostamento di colori sgargianti, che so prestano da una parte alla piena personalità del cosmo, dall’altra all’ambiguità del cielo: psichedelico e ordinato allo stesso tempo.
Osservare alcune opere di quest’artista , significa dare un volto all’Oriente contemporaneo, non più fatto di odalische, ma surreale e metafisico.
La loro caratteristica più emergente è quella di un forte grado di naturalità, anche quando esse, ad una prima lettura, possono apparire più artificiose. Laddove Maria Rita utilizza le lacche, il colore si modula, facendo nascere quelle sfumature uniche, tipiche soltanto delle pietre dure, sezionate e levigate.
Questi quadri, “impreziositi”, sono frutto di un attento interesse nei confronti del particolare che, in versione macro, come sotto una lente d’ingrandimento, modifica la percezione: noi osservatori, così,  diventiamo etmologi alla scoperta delle polveri sottili e cangianti sulle ali di farfalle amazzoniche o delle sfumature metallizzate di alcuni scarabei indiscutibilmente belli. Il lavoro della pittrice per cui  si moltiplica e lo sforzo di chi osserva si prolunga, piacevolmente, nel tempo.  Si potrebbe parlare di un’archeologia dell’immagine, in particolare quando si riscontra l’uso della spatola: la stratificazione delle opere, mostra le tele per quello che sono, ovvero pitture tridimensionali, nelle quali talvolta anche perdersi.
Forme naturali interpretate come potenti commozioni del sentimento sinestetico umano, che si sintetizza, con un po’ d’attenzione in forme più riconoscibili, che a volte ricordano conidi fossili, vortici, code di ippocampo. In questo senso i vortici , appunto, probabilmente non sono solo quelli dell’acqua, o forse l’acqua per Maria Rita Vita non deve essere solo mare; ma un unico complesso di elementi rappresentativi della realtà. Una connessione complementare di caos e ordine, simmetria e asimmetria, di esseri viventi e non, di grandezze diverse e tensioni pure. La pittura ha ancora questo potere, di creare un sistema articolato che esprima viaggi senza tempo e senza spazio, con quel tanto di fantasia che basta per mostrare inedite direzioni.
Dal mare all’universo: costellazioni notturne, abissi elettrici e l’occhio nudo dell’uomo che non può ancora vedere, senza perdersi e allora, appare dietro alle lenti, figlie del progresso, di enormi telescopi digitali. A noi non resta che la speranza di rimanere senza fiato e non perdere la fede nella grandezza dell’infinito e della curiosità creatrice.
L’arte serve proporio a questo scopo dalla forza asimmetrica – tra l’uomo e la natura -: non fermarsi alle reminescenze del visibile; ma cogliere ciò che ancora non è stato scoperto, ciò che ancora per noi non ha una forma. Per una descrizione della costante ricerca di Maria Rita Vita, basta affrontare, con una limpida e veritiera lettura , le pennellate scure sulla tela. Esse, infatti, creano intervalli fondamentali alla narrativa del soggetto, per quanto informale , dove si sente, in sottofondo, senza alcuna invadenza visuale, una voce fuori campo, a ricordo di quei cantastorie che accompagnavano l’addormentarsi di ogni bambino con mangiadischi colorati a fianco al cuscino; o come la lettura delle pagine di un libro , dove i personaggi non esistono in maniera tangibile, fenomenologica, eppure è come se fossero accanto a chi sta immaginando il loro aspetto: Maria Rita Vita mette in moto l’immaginazione dell’osservatore, ormai totalmente coinvolto.
Poichè questa forza evocatrice della singolarità che contraddistingue ogni persona si presenta come un carattere vivente, è significativo il valore che poi ne viene sottolineato con la ripetizione. La struttura grafica alla base dell’informalità, riporta infatti alle produzioni anticipatrici del design: il movimento inglese Art&craft. A riscoprire quella tradizione inglese, alcuniaccostamenti cromatici e formali, astratti dalla pittricee ripetuti a ritmo alternatamente forsennato e lento, delineando così nuove trame per tessuti e carte da parati. E’ la musicalità del colore, è la rima del pennello , è la narrativa della spatola. E tutto questo intrecciarsi di moduli, dà vita alla “serie”.
Infatti, nella produzione vitiana è difficile trovare pezzi isolati , ogni opera è parte di un tutto che, se letto insieme, diventa più comprensibile, come diventano più comprensibili il carattere e la personalità dell’artista: una donna di luce blu.
Il riferimento qui è a Il Blu della Speranza, un’opera che davvero colpisce, costruita su un particolare: “un punto kandiskijano”.
Lei stessa scrive: ”Eccomi… sono qui! Abbi fiducia nella Vita!”.
Quanta energia da una sola frase, eppure quante parole emergono dalle opere di Maria Rita, anche poetessa, comunque dal fare pittorico.
In un’esperienza artistica ricca come quella di Maria Rita Vita, l’osservatore non si rispecchia soltanto nella musicalità del colore, nella comunione con l’arte che astrae, ma ci si può confrontare con una personalità capace di emozioni tradizionali: Getzemani – Orto degli ulivi.
In quest’olio su tela, la rappresentazione dell’ulivo, è insanguinata, carnale.
L’albero soffre e patisce il destino di Gesù. La natura condivide, pazientemente la paura reale del figlio di Dio, ma lo fa con la giusta passione.
Grazie a Maria Rita Vita nasce un’ontologia dell’ulivo: simbolo di una condizione comune, a metà tra rispetto e amore, tra sopravvivenza e speranza.
Questo è il nostro bene.