Una pittrice che da tempo si sta distinguendo in ambito toscano e non solo
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Una pittrice che da tempo si sta distinguendo in ambito toscano, e non solo, per quella serietà professionale indispensabile per controbattere quel clima di casualità e di apparenza

di Lodovico Gierut

Firenze, Gruppo Donatello: mostra personale di Maria Rita Vita, ventotto marzo duemilaquindici.
Una frase, o meglio, la puntualizzazione geografica e di data per il luogo di arrivo e di ripartenza – come amo definirlo – per una pittrice che da tempo si sta distinguendo in ambito toscano, e non solo, per quella serietà professionale indispensabile per controbattere quel clima di casualità e di apparenza che sta inquinando l’universo della creatività amato da molti ed in cui gli Artisti con la ‘A’ maiuscola vivono e sopravvivono.

Taluni diranno, come è giusto dire, che l’ambiente è sempre stato tale – con luci e con ombre – anche in una città come Firenze, conosciuta nel mondo per la millenaria storia costellata di grandi pittori e scultori e architetti che l’hanno firmata; una Firenze in cui, come ho già accennato in un piccolo scritto di presentazione stampato su un cartoncino dedicato a Maria Rita Vita, veicolato anche tramite internet, hanno fattivamente lavorato i vari Vinicio Berti, Gualtiero Nativi, Amedeo Lanci i quali, con altri anch’essi da me frequentati e di un elenco qui impossibile a farsi, hanno splendidamente contribuito a dare il volto della serietà a quell’Arte in cui credo e crediamo.
Maria Rita Vita vive nell’area apuo-versiliese, spazio vivace anche per gli scambi che da sempre esistono pure con Firenze (uno stuolo di letterati e di artisti… Piero Bigongiari, Mario Luzi, Primo Conti, Silvio Loffredo…: oggi è nella città di Dante Alighieri e di Michelangelo Buonarroti a presentare “I Fili del Tempo”, una ventina di dipinti che ne riflettono il volto e la vita, le speranze e gli sconcerti, la luce.
Si tratta soprattutto di oli, come di tecniche miste e di acrilici, scelti tra quelli che ha realizzato abbastanza recentemente, che ne svelano e rivelano la pulsante energia ben concretata con un segno/colore mai dettato dal caso: le cromie di ognuno – danze di rossi e di verdi e di grigi perlacei, come d’azzurri e di rosa pallidi, blu oltremare e marroni bruciati… – caratterizzano un’età fatta di emozioni e di momenti in cui la gioia offre il dovuto spazio ad altre situazioni dove però – è bene sottolinearlo – l’Artista c’è interamente, totalmente, giacché è la verità del filo del suo tempo a dettarne pagine e capitoli di un viaggio tra fantasia e realtà.

Ma… da dove proviene, dico della nascita, Maria Rita Vita?
Beh, è di Massa ed i suoi avi discendono dai Liguri-Apuani (1) popolazione tenace vinta dai Romani oltre duemila anni fa “solo con l’inganno e trasferita forzatamente nel Sannio”, ma, come dice Tito Livio, non sottomessa, dato che i Liguri-Apuani furono deportati da “uomini liberi” , ma chi sopravvisse al sopruso (era in essere un trattato di pace!) rifugiandosi sull’asperità dei monti, nei cosiddetti “castellari”, raggruppandosi in piccolissime comunità, trasmise la continuità di un carattere forte, tagliente e chiaro e senza mezzi termini, che troviamo oggi nelle sue opere.
Si tratta di sussulti cromatici inesausti, movimentati, aventi – nell’equilibri dell’insieme – un precedente percorso figurale, una sorta di struttura di base, un punto di partenza per la successiva conquista, tappa dopo tappa, del fine.
Non voglio scomodare i nomi già citati, né fare esempi come Jackson Pollock (i disegni michelangioleschi), o Alberto Magnelli, di cui rammento uno scritto di Mario De Micheli del 1987 (per una mostra a Forte dei Marmi) attinente l’esperienza “figurale”, là dove diceva che l’illustre fiorentino “… dopo la scomparsa di Kandinsky, (…) doveva essere “considerato dalla critica come il più autorevole rappresentante della tendenza astratta”, ma la fluidità del gesto di Maria Rita Vita si stabilizza e s’inoltra in coerenti mondi reali e di memoria in “Ritorno allo Spirito” (o “Pioggia d’azzurro”), “Soffio”, “Profumo di un ricordo”, “Nel profondo”, o del quadro-guida della sua personale “I Fili del Tempo” del 2015.
Titoli come “Lapillo-Sospiro”, “Esplosione di cielo” (il nucleo si espande alla stregua dei sentimenti liberi da orpelli e da palizzate) e altri di varie dimensioni (dal 2012 ad oggi, 2015), aprono da soli quella porta vitiana che tende inevitabilmente a proiettare l’osservatore/fruitore in spazi che possono essere quelli di un palcoscenico o di paesaggi acquei che simboleggiano la sorgente iniziale, il centro rigenerativo, acque – nella massa generale – da ammirare per la lucentezza delle cromie pulsanti di un sentimento dove verrebbe da immergersi, come se possedessero forze nuove, o rinnovate, da vivere.
Pensavo ai suoi Cieli… Sì ci sono cieli d’un azzurro forte, o candidi vellutati pigmentati persino di spruzzi dorati o argentei, rosseggianti (spirituali o atmosferici), cieli che nelle sue liriche – spontanee le parole, come le pennellate – dice essere “Cirri nitidi e soffici all’orizzonte” e – in “Esplosione di Cielo” mormora di “Scintille di colori contrapposti e complementari” che “scandiscono nel buio/ geometrie eccelse ed intermittenti” mentre – di poi – “Resta fissa nel blu del cielo/ la stella del nord/ a illuminare la tua notte infinita di uomo”.
Non entro nel merito lasciando un giudizio soprattutto a chi ne guarda l’Opera su tela, su tavola, e su carta Magnani.
Non mi insinuo più di tanto in un lavoro e nell’altro, però mi viene da ribadire il concetto della coerenza, essendo una delle solide basi della sua astrazione positivamente condivisa da accenti figurali che via via s’evolvono, invadendo la spazialità di un’immagine ancorata alla piena fusione di tutti i fattori creativi/fantastici dettata da una globalità dove i riferimenti sono facilmente o meno visibili, o leggibili, ma l’argomento scelto ad ogni passo da Maria Rita Vita è inscindibile nella sintesi dei significati e nei valori di ciascuna opera.
Pensando ai concetti già espressi da me o da altri storici e critici d’arte, penso che il linguaggio formale di questa pittrice toscana sia “interiore”, pieno di variati stati d’animo, ma con una vicenda d’assieme con cui vuole o tende a dar concretezza alle “vicende” di tutti.
Il suo pensiero è razionale, entra cioè nelle cose, dandole un’effettiva consistenza; ecco che la professionalità che le appartiene scarta subito talune (anche remunerative) avventure artigianali, unendo persino l’arte all’oggettistica pregiata, di livello, proprio per scegliere l’apertura del regno della sua libertà interiore che prende continuamente quota in significative e dinamiche immagini, inanellate e fuse le une con le altre dalla solidità di quei fili/segno/colore i quali sono solo e solamente suoi.
A qualcuno che superficialmente ha avvicinato il dipingere di Maria Rita Vita al dripping di Pollock – non sono ipocrita, mi piace la chiarezza e l’esempio è calzante – rispondo guardando a Johannes Brahms (il settore musicale) che, nato oltre cinquanta anni dopo Beethoven, riannodò, o meglio, prese a prestito un certo procedimento – la tradizione – per “fare del nuovo”: le forme/colore pensate inizialmente dall’artista americano hanno aperto un mezzo tecnico che, ricollocato diversamente, ne sostiene l’impalcatura artistica.
Penso, infatti, che l’arte non possa essere chiusa in un semplice schema – ripreso in verità da molti – perciò evidenzio che in lei c’è l’affermazione di una “dinamica ideale” (il termine è di Franco Miele, scomparso da anni, che stimo molto) che l’ha spinta a riprendere concettualmente certe forme presentandole in una luce assai diversa.
Beh, la storia dell’arte non è storia delle tecniche, né può essere schematizzata in strette divisioni del prima e del poi, cosicché – rispondendo a suo modo a chi la riduce ad orientamenti riguardanti alcune forme “espressive segnaletiche” – dico solamente che Maria Rita Vita fa del proprio gesto pittorico lo specchio di un “Io” che include nel quadrato e nel rettangolo magico il proprio vissuto e quello di altri: racconti, lirismi, sentieri, indagini, elaborazioni mentali e manuali… rappresentano il filo di un ragionamento che si sposa alla luce/colore che passaggio dopo passaggio ha una modulazione diversificata, pur se l’argomento persino essere lo stesso.
In ciascuna opera si può perciò rintracciarne l’idea, il messaggio che dona sempre all’altrui persona; il cosiddetto “discorso” si fa forma cromatica e segnica e ritmica, s’assembla configurandosi quale logica conclusione di un pensiero portato poi a mostrare l’originalità e la pienezza di più e più elementi in maniera armoniosa.
Perché i dipinti di Maria Rita Vita hanno valore?
Rispondo, concludendo e sapendo che altri – dopo me – potranno dare equilibrati apporti critici, dicendo che i suoi lavori possiedono un significato inteso come contenuto in quanto le forme/valore (le forme/formate) diventano Arte, comunicano rivelando un atteggiamento di coscienza, una realtà che merita indubbiamente d’essere giudicata e, lo credo in piena onestà intellettuale, ammirata.

Marina di Pietrasanta, 7 marzo 2015